Ormai quasi due anni fa, nell’edizione 2015/16 della Premier League, si compiva una delle più grandi imprese calcistiche e sportive di sempre, il Leicester City guidato dal tecnico italiano Claudio Ranieri vinceva il suo primo titolo nazionale in 132 anni di storia del club.
L’anno precedente ‘le Foxes’ rischiarono la retrocessione, chiudendo al 14esimo posto, e 365 giorni dopo riucirono a laurearsi campioni d’Inghilterra, con 10 punti di vantaggio sull’Arsenal secondo, e guadagnandosi l’accesso diretto alla Champions League.
Il Leicester City totalizzò 81 punti con 23 vittorie, 12 pareggi e solamente 3 sconfitte; ebbe il terzo miglior attacco del campionato con 68 goal fatti e la seconda miglior difesa, con soli 36 goal subiti.
Il tecnico italiano venne incoronato re, divenne ‘King Claudio’, ma per arrivare così in alto fu aiutato nell’incredibile cavalcata di 38 partite dai suoi infaticabili uomini, o meglio soldati come li definiva lui.
La rosa a disposizione di mister Ranieri non era ne quantitativamente troppo folta, ne qualitativamente così elevata, ma la voglia di rivalsa che il tecnico seppe tirar fuori da ogni singolo giocatore fece la differenza. Basti pensare a Vardy, fino a tre anni prima operaio e giocatore in categorie semi-professionistiche; a Mahrez, fino a tre anni prima giocatore nella serie b francese, acquistato per meno di mezzo milione di euro; o Kanté, acquistato per 9 milioni di euro in estate e dopo un anno ha visto quadruplicarsi il proprio valore di mercato.
La formazione prediletta dal tecnico romano prevedeva un 4-4-2 vecchio stile, leggermente riveduto e corretto nelle due fasi di possesso e non, ma pur sempre di vecchio stampo; e gli interpeti erano i seguenti.
In porta Kasper Schmeichel, figlio d’arte, che fu decisivo in numerose situazioni. Sulle corsie difensive, rispettivamente Fuchs sulla sinistra e Simpson sulla destra, riuscirono a dare copertura e spinta in modo impeccabile. Al centro della retroguardia stazionavano Morgan e Huth, 1,85m per 93kg il primo e 1,91m per 88kg il secondo, erano le due inamovibili montagne difensive. Alla linea a quattro di centrocampo prendevano parte Kanté sul centro-sinistra, una macchina recupera palloni (150 tackle vinti, più di 140 anticipi, un goal e 4 assist, il tutto con appena 3 cartellini gialli), e Drinkwater, altro ottimo intenditore, sul centro-destra. Al loro fianco, a piede invertito, erano posizionati Albrighton esterno a sinistra, una vera macchina da cross, e Mahrez esterno di destra, in doppia cifra sia di goal (17) che di assist (11) a fine stagione. Infine, la coppia d’attacco era composta dall’inarrestabile Jamie Vardy, nominato miglior giocatore della Premier League con 24 reti, e si alternavano i due jolly Okazaki ed Ulloa, che fungevano da raccordo per vie centrali, permettendo inserimenti e tagli dentro al campo degli esterni. Oltre questi giocatori sopra citati, ampio merito per l’importante impresa va anche dato a chi ha contribuito partendo dalla panchina, come il portiere di riserva Schwarzer; i difensori Benalouane, Schlupp, Chilwell e Wasilewski; i centrocampisti King, Inler, Amartey e Gray, e gli attaccanti Dyer e Kramaric.
Il prodotto finale è sotto gli occhi di tutti. Una squadra che sapeva chiudersi alla perfezione nella propria trequarti per esplodere poi in ripartenze micidiali. Contro ogni pronostico e aspettativa di gioco, a fine stagione, il Leicester risultò la terzultima squadra per possesso palla (43,8%, peggio solo Sunderland e WBA); fu penultima per numero di passaggi corti (267 in media, peggio solo il WBA) ed ultima per percentuale di passaggi completati (69,8%). Tuttavia Ranieri seppe compensare in altro modo, sfruttando le peculiarità ed esaltando le doti del roadster che aveva a disposizione. Infatti, il Leicester risultò tra le prime squadre nella lega per: tackle (22.8), palle intercettate (22.3), goal segnati in contropiede (4) e lanci lunghi effettuati (70) in media ogni partita. Ed è proprio su questa tipologia di gioco che la squadra inglese riuscì a costruire le proprie fortune.
FASE DI POSSESSO
In fase di possesso palla la squadra non si schierava con un modulo di gioco ben preciso poiché non era un team che prediligeva il possesso palla ed aveva un gioco piuttosto spezzettato e poco continuo; preferiva far avere il pallino del gioco agli avversari, per poi riconquistare palla ed affondare in contropiede con improvvise e micidiali verticalizzazioni. Per questo motivo, i movimenti e le posizioni dei giocatori in campo venivano continuamente modificate in base alla situazione di gioco. Tuttavia possiamo dire che restava un 4-4-2, non troppo distante dallo schema di gioco di base, con centrali di centrocampo più vicini alla linea difensiva, esterni più alti rispetto alle posizioni di partenza e punte che si alternavano (Ulloa accorciava e Vardy attaccava la profondità).
La costruzione della manovra avveniva principalmente tramite lanci lunghi del portiere o dei difensori per le punte, Ulloa in particolar modo. Quest ultimo andava a contrasto con la difesa avversaria e i centrocampisti, Kanté e Drinkwater (sostituito da King al 16’ del PT per infortunio) accorciavano verso la porta avversaria per andare ad attaccare e conquistare la seconda palla.
La circolazione di palla tra difensori e centrocampisti era pressoché nulla, raramente uno dei due centrocampisti si abbassava e, se accadeva, era un movimento finalizzato a liberare spazio per la giocata lunga all’esterno. I terzini giocavano alti, dando modo agli esterni di salire e spaziare sia mantenendo l’ampiezza che accentrandosi sul piede forte e andando alla conclusione in porta.
Ulloa fungeva da appoggio e sponda per lanci e triangolazioni basse, mentre Vardy si muoveva prevalentemente nella zona centrale, pronto a dare profondità ed attaccare l’area sui cross tagliati a rientrare di Albrighton e Mahrez.
I centrocampisti entravano in fase di costruzione solo per i lanci agli esterni o le improvvise verticalizzazioni sulle punte, altrimenti restavano bassi davanti la difesa a dare copertura.
Un ruolo fondamentale nel gioco del Leicester lo avevano le transizioni positive, quando si riconquistava palla si cercava la giocata immediata verso l’esterno o la verticalizzazione per Vardy; quasi mai avvenivae il consolidamento del possesso con giro palla tra difensori e centrocampisti.
Infine, un ulteriore arma a favore delle foxes, erao le rimesse laterali di Fuchs. Il terzino sinistro riusciva a catapultare letteralmente la palla in area di rigore avversaria anche da lunghissime distanze, creando potenziali azioni da goal.
FASE DI NON POSSESSO
In fase di non possesso la squadra si schierava sempre con un 4-4-2 con linee molto strette e giocatori spesso posizionati tutti dietro la linea della palla.
Il Leicester effettuava un pressing organizzato sull’avversario che riceveva palla spalle alla porta, con eventuale raddoppio qualora necessario. Il pressing iniziava quando la palla veviva giocata per vie laterali dagli avversari, in quel momento usciva l’esterno di competenza in pressing e a seguire i compagni andavano in marcatura sull’avversario più vicino o raddoppiavano.
I rocciosi difensori centrali potevano così rimanere a coprire la zona centrale del campo, intavolando duelli fisici con i rispettivi attaccanti da marcare.
Inoltre, durante l’uscita alta in pressing del terzino gli esterni di centrocampo scivolavano sulla linea difensiva, dando copertura su eventuali cambi di fronte avversari.
Il 4-4-2 del Leicester di Ranieri nella fase di non possesso prevedeva densità in zona palla e squadra compatta tra i reparti.
Un ulteriore punto di forza, difensivamente parlando, era il pressing alto individuale portato da Jamie Vardy ai danni dei portatori di palla avversari. L’attaccante inglese era il primo uomo del Leicester ad andare in pressione ogni qual volta che la situazione lo richiedeva.
Particolare attenzione per le transizioni difensive; quando si perdeva il possesso palla il giocatore più vicino all’azione cercava sempre di rallentare la manovra avversaria, consentendo il riposizionamento dei compagni.
Nonostante un’organizzazione difensiva di tutto rispetto, ben collaudata, contro grandi avversari bastava la minima disattenzione che subito se ne pagavano le conseguenze.
Riguardo le situazioni da palla inattiva, sui calci d’angolo contro, il Leicester si posizionava con tutti e 10 i giocatori di movimento (più il portiere ovviamente) in area di rigore, con 5 uomini in marcatura a uomo e 5 a zona.
Lo straordinario lavoro effettuato da Claudio Ranieri venne ripagato come meglio non si poteva.
Il tecnico romano riuscì ad attuare la sua idea di calcio, semplice ma estremamente ben organizzato e redditizio. Egli seppe valutare il materiale umano a disposizione e soprattutto riuscì a trovare la chiave per come poterlo sfruttare al meglio.
Ogni giocatore che entrava in campo, sapeva esattamente cosa fare, come farlo e quando; ed erano tutti pronti a sacrificarsi in prima persona ai fini del risultato e del bene collettivo della squadra.
Ranieri fu bravo a non snaturare completamente il gioco e la struttura della squadra, bensì ad aggiungere il suo sapere tattico e modularlo in base agli interpreti che aveva di fronte a sé in quel momento.
Ovviamente l’esplosione di Vardy e Mahrez in fase realizzativa, oltre all’enorme quantità di palloni ripuliti da Kanté in mezzo al campo e alle ottime prestazioni nei momenti decisivi di tutto il resto del gruppo, fece la differenza; e così, per la prima volta nella sua ultracentenaria storia di club, il Leicester City vinse la sua prima Premier League.
“Try it always and do not stop believing!” Sir Claudio