La finale di Champions League che si è giocata il 22 maggio 2010 tra Bayern Monaco e l’Internazionale era preannunciata come una partita che al di là del risultato avrebbe scritto la storia. Entrambe le squadre infatti arrivavano a Madrid forti delle vittorie nei rispettivi campionati e coppe nazionali e quindi la vincitrice avrebbe bissato l’impresa che il Barcellona di Guardiola aveva compiuto appena un anno prima.
Il Bayern Monaco è arrivato in finale dopo aver eliminato, non senza patemi d’animo, Fiorentina e Manchester United. La semifinale col Lione è stato invece un confronto senza storia con 4 gol di differenza complessivi.
L’Inter ha legittimato la sua finale dopo aver eliminato prima il Chelsea, campione di Inghilterra, ed in semifinale il leggendario Barcellona di Guardiola con un doppio confronto molto concitato. In particolare, nel ritorno in Catalogna la squadra di Mourinho ha dimostrato tutta la sua resilienza. Al Camp Nou, sebbene in inferiorità numerica, è riuscito a sopravvivere agli assalti di un Barcellona capace di collezionare 20 occasioni da rete con l’86% di possesso palla.
La squadra bavarese si presentava all’appuntamento con un 4-4-2 con tutti i titolari meno che Ribéry, , squalificato, e sostituito da un giocatore molto meno talentuoso come Altintop.
L’Inter invece era interessata dalla sola defezione di Tiago Motta sostituito da Zanetti. Il posto di terzino sinistro è stato quindi ricoperto da un giocatore poco dinamico come Cristian Chivu. Il risultato è stato un 4-2-3-1 che in fase di non possesso era caratterizzato da 10 uomini sotto la linea del pallone.
Le disposizioni in campo hanno generato in entrambi i casi delle asimmetria qualitative orizzontali. La catena di sinistra dell’Inter era formata da Cambiasso, Pandev e Chivu, ovvero 3 giocatori molto meno creativi dei 3 opposti: Maicon, Zanetti, Eto’o. Come uno specchio, il lato destro del Bayern grazie a Robben e Lahm era potenzialmente più pericoloso del sinistro occupato da Altintop e Badstuber.
La partita fin dai primi minuti ha seguito un copione ben chiaro e preciso. I Bavaresi, complice l’atteggiamento dei nerazzurri, hanno mantenuto il controllo del pallone con una ragnatela di passaggi atta a creare delle falle nella struttura posizionale interista ed affondare il colpo sulle fasce. Gli esterni di centrocampo, schierati a piede invertito, avevano la facoltà di accentrarsi e cercare la conclusione. In particolare Van Gaal ha cercato di creare situazioni di 1 vs 1 che permettessero a Robben di esprimere tutto il suo potenziale.
Dall’altra parte, Mourinho ha preparato una partita di attesa e veloci transizioni offensive. La fonte del gioco del Bayern era Schweinsteiger e per limitarla il tecnico portoghese ha pensato di far salire su di lui Zanetti ogni qualvolta il centrocampista avversario riceveva il pallone.
I primi eventi degni di nota sono state due ammonizioni: Van Buyten per il Bayern e Chivu per l’Inter. In entrambi i casi i cartellini sono stati dei veri e propri indicatori di quello che stava avvenendo in campo. Da una parte, Il terzino rumeno si stava disimpegnando come poteva su Robben, dall’altra Milito teneva costantemente in apprensione i centrali bavaresi, impacciati nel coprire la profondità e i tagli dell’argentino in fase di transizione positiva.
Per la buona riuscita dei contropiedi interisti è stato importantissimo l’apporto di Sneijder che giocando molto vicino a Milito ha potuto dare vita a pericolosi scambi. Non a caso, il primo gol Interista è nato da un lancio diretto di Julio Cesar che ha innescato i due attaccanti interisti, abilissimi a crearsi lo spazio sufficiente a penetrare una comunque non irreprensibile retroguardia bavarese.
Da questo momento in poi la differenza di stile delle due squadre non ha potuto che accentuarsi, con da una parte la squadra italiana che, forte del risultato, si arroccava ancora più convinta in difesa e dall’altra il giro palla prolungato del Bayern. Il tecnico olandese non è riuscito a risolvere il rompicapo impostogli da Mourinho ed anche nel secondo tempo la squadra tedesca non ha prodotto nulla di diverso rispetto alle sortite offensive di Robben ed un gran numero di cross in area. La strategia non ha funzionato per 2 motivi. In primo luogo gli attaccanti hanno impietosamente perso la battaglia aerea in ragione di un’evidente superiorità fisica dei centrali nerazzurri. Infine il tecnico olandese, schierando gli esterni a piede invertito ed un terzino come Badstuber piuttosto che Pranjic, ha diminuito conseguentemente la qualità dei palloni riversati in area di rigore. Il prolungato giro palla inoltre non è stato utile a disordinare la struttura posizionale interista se non in rare occasioni.
In questo scenario il 2-0 di Milito è stata la pietra tombale sul match. Gli ultimi minuti sono solo serviti a confermare la sterilità del possesso della squadra di Van Gaal e come un piano gara reattivo ben congeniato sia più efficace di uno proattivo non all’altezza.