Analisi realizzata da Massimo Notaro, Match Analyst associato AIAPC, abilitato presso il Corso Football Match Analyst – LongoMatch Certification: https://www.elitefootballcenter.com/prodotto/longomatch-fast-track/
“Il mio arrivo a Milano fu, come sempre, difficile. L’impatto con la squadra fu dirompente, c’era diffidenza ma non prevenzione, dicevo cose diverse sia sul calcio, sia sulla mentalità da tenere in campo, sia nella programmazione degli allenamenti. In Italia hanno bruciato Giordano Bruno. Io ero visto come un eretico. L’ambiente del calcio e una parte dei giornalisti mi consideravano un eversore, un diverso, un avversario, perché mettevo in crisi la loro leadership e il loro ruolo di detentori di un sapere antiquato, vecchio, mentre i giovani e i meno conservatori mi guardavano con interesse.” (Arrigo Sacchi)
Il Milan di Arrigo Sacchi nato nell’estate del 1987 è stata la squadra che con ogni probabilità ha cambiato la storia moderna del calcio. Ancora oggi le correnti calcistiche più in voga si basano sull’attuazione dei concetti fondamentali di Sacchi: che sia il calcio di Guardiola, Mourinho, Bielsa, Ancelotti, Klopp, Simeone o Sarri. Tutti hanno studiato l’allenatore romagnolo, e tutti ne riconoscono l’importanza nella loro formazione calcistica. Poi ognuno di loro ha sviluppato le idee a modo suo, ma il calcio che si gioca oggi ad alto livello è quello pensato dall’ultimo grande allenatore-filosofo del calcio italiano.
In Italia fino all’esplosione del Milan di Sacchi regnava la “zona mista”, portata al successo dalla Juventus di Trapattoni e dal Torino di Radice. Venne chiamata così perchè consisteva nel richiedere ai giocatori di applicare sistematicamente e simultaneamente la marcatura a zona assieme alla marcatura a uomo che all’epoca era ancora tra le più utilizzate. Con l’avvento di Sacchi ci fu la clamorosa rivoluzione che portò alla “zona pura” e la nascita di quella che viene considerata ancora adesso dalla maggior parte degli addetti ai lavori la squadra più forte di tutti i tempi. Il Milan degli “immortali”.
Dopo essere riuscito con successo a portare le sue idee e i suoi principi di gioco vincendo lo scudetto al primo tentativo nel 1987-1988, Arrigo Sacchi e il Milan si preparano per la stagione 1988-1989 con un unico grande obiettivo. Vincere la Coppa dei Campioni. L’unico cambiamento rispetto all’anno precedente è l’inserimento del centrocampista olandese Frank Rijkaard, che però a sorpresa venne schierato da Sacchi come difensore centrale.
Per grande parte della stagione questo fu il sitema di gioco base del Milan di Sacchi. Un 4-4-2 con Ancelotti vertice basso del rombo di centrocampo, Donadoni vertice alto ed Evani e Colombo larghi sulle fasce. La coppia olandese in attacco, mentre in difesa Sacchi prediligeva due terzini fluidificanti, dotati di gran corsa e tecnica come Maldini e Tassotti, e Baresi e Rijkaard come difensori centrali, entrambi molto bravi e in grado di poter far partire la manovra partendo direttamente dalla difesa. Le cose cambiarono quando il giorno prima della partita di ritorno della semifinale di Coppa Campioni contro il Real Madrid, durante la rifinitura, un ragazzo della primavera (Demetrio Albertini) ed Alberigo Evani si scontrarono in maniera fortuita, causandone l’infortunio di quest’ultimo. Dopo un’intera notte insonne passata riflettendo, l’allenatore nativo di Fusignano decise di sostituire Evani con Costacurta. Quest’ultimo si inserì al centro della difesa al posto di Rijkaard che a sua volta andò al posto di Ancelotti davanti alla difesa. Ancelotti prese così il posto sulla scacchiera di Evani largo a sinistra.
FASE DI POSSESSO
I dettami dell’allenatore di Fusignano erano chiari. La squadra sul campo doveva essere corta e stretta, e la costruzione del gioco era basata su sincronismi e tempi nella quale bisognava creare spazi nella metà campo avversaria, per poi occuparli in movimento. La maggior parte delle volte grazie al movimento degli esterni, che in fdp erano a tutti gli effetti degli attaccanti aggiunti.
In fase di costruzione del gioco, i terzini salgono sulla stessa linea del centrocampista in possesso di palla, mentre gli esterni alti vanno sulla linea degli attaccanti, componendo cosi una sorta di 2-3-3-2 in costante mutamento. Il tentativo è quello di dare ampiezza alla manovra, sfruttando gli spazi che sono stati creati grazie ai movimenti dei giocatori.
Uno dei punti di forza quando la squadra era in fdp, era senz’altro la coralità (termine tanto caro all’allenatore romagnolo). Tutti collaboravano e potevano ricevere il pallone dal proprio compagno di squadra. Uno dei principi di gioco era quello di dare al possessore di palla almeno quattro soluzioni. Una volta riuscito a conquistare lo spazio lateralmente, l’obiettivo era quello di effettuare traversoni per poter sfruttare l’abilità nel gioco aereo delle punte (Gullit e Van Basten).
Un’alternativa a ciò era cercare l’uomo posizionato sulla tre quarti avversaria durante lo sviluppo del gioco; questi anzichè allargare il gioco, cercava la rifinitura immediata per una delle due punte.
FASE DI NON POSSESSO
Sacchi pretendeva dai suoi uomini un calcio attivo anche in fase di non possesso, con giocatori protagonisti grazie al pressing. L’obiettivo era quello di proporre una difesa collettiva con una marcatura dello spazio (zona). Alla base di tutto doveva esserci l’intelligenza, la concentrazione, il posizionamento corretto e la capacità di scelta da parte dei giocatori dei movimenti da effettuare. Il lavoro partiva sempre dagli attaccanti (Gullit e Van Basten) che avevano il compito di ostacolare il tentativo di costruzione della manovra da parte degli avversari.
La forza del collettivo che difendeva in maniera perfetta grazie ai reparti congiunti che si muovevano in modo ordinato e sincronizzato: questo era il credo calcistico dell’allenatore. Il pressing che preparava Sacchi era un pressing che richiedeva alla squadra compattezza e organizzazione, tempi di attacco all’avversario e marcature a scalare, mentre lontano dalla palla bisognava scivolare coprendo con diagonali lo spazio che il proprio compagno aveva lasciato alle proprie spalle andando in pressing.
L’obiettivo era quello di essere sempre in superiorità numerica nei pressi della palla, facendo densità in quella zona di campo. Nel video appena visto, abbiamo potuto notare la ricerca della superiorità con il pressing di Tassotti sull’avversario che gli dava le spalle e Donadoni e Gullit che al tempo stesso cercavano di chiudere le linee di passaggio più agevoli al giocatore del Real Madrid in possesso della sfera. In quel preciso istante in cui Tassotti decise di effettuare il pressing sull’avversario madrileno, Colombo che giocava come esterno alto a destra prese velocemente posto alle spalle di Tassotti, coprendo così lo spazio che il proprio compagno aveva lasciato libero alle proprie spalle uscendo in pressing.
Sacchi basava la fase di non possesso della sua squadra anche sulla tattica esasperata del fuorigioco. All’epoca per la FIFA i giocatori in fuorigioco “passivo” contavano nel tracciare la linea d’attacco della squadra ovvero chiunque si trovava oltre l’ultimo difensore era in fuorigioco.
La linea difensiva del Milan, che era guidata dal suo capitano Franco Baresi, si muoveva in funzione della palla e mai degli avversari, per poter riuscire ad individuare l’attimo giusto nel quale far scattare la loro trappola del fuorigioco con la salita contemporanea di tutti gli uomini che in quel momento componevano l’ultima linea difensiva.
La linea sale anche in modo non ordinato, purchè rapido e con le giuste tempistiche ogni volta che la palla è coperta. Così facendo la linea difensiva che sale avrà sempre almeno un avversario dietro di sè per far scattare il fuorigioco.
TRANSIZIONE OFFENSIVA
Una volta riconquistato il pallone, la squadra di Sacchi andava immediatamente alla ricerca degli spazi che gli avversari avevano lasciato alle proprie spalle quando si trovavano in possesso della sfera. L’attacco della profondità era istantaneo e senza troppi fronzoli: si cercava di raggiungere l’area avversaria nel minor tempo possibile e con più uomini ad accompagnare la transizione.
Gullit era proprio l’uomo in più in quelle situazioni, un vero e proprio giocatore universale, termine di cui Sacchi era ossessionato. Grazie alla sua velocità che per gli standard dell’epoca era eccezzionale – 100 metri in 11 secondi – spaccava letteralmente le transizione difensive delle squadre avversarie che in quel momento necessitavano di qualche secondo di assestamento.
TRANSIZIONE DIFENSIVA
Quando il Milan perdeva palla si comportava in maniera diversa a seconda della zona di campo in cui era stato perso il possesso della sfera e di come erano posizionati i giocatori rossoneri all’interno del rettangolo di gioco. A palla scoperta Sacchi chiedeva ai difensori di scappare all’indietro in copertura dello spazio che li separava dalla propria porta che dovevano difendere, poi quando la situazione mutava si ripartiva con il pressing, tornando così a correre in avanti e non più all’indietro (cosa che all’allenatore di Fusignano non piaceva).
La difesa alta consentiva maggiore spazio e tempo per potersi posizionare correttamente. Le parole d’ordine per l’allenatore romagnolo erano: chiusure preventive e l’essere corti e stretti sul campo, bloccando così ogni tentativo di transizione degli avversari attraverso il pressing e creando delle controtransizioni letali.
CONCLUSIONI
L’impressione è che il più grande trionfo di Sacchi sia stato convincere i grandi giocatori di quel Milan con i loro vari eghi della bontà delle sue convinzioni. Le chiavi del successo di quella squadra furono prima di tutto il pressing e il riuscire a rimanere corti e stretti sul campo. Così facendo il Milan riusciva ad asfissiare le sue rivali, comprimendo lo spazio tra la propria linea difensiva e quella d’attacco. Sacchi portò anche un cambiamento radicale in quello che era un’abitudine per il calcio italiano dell’epoca, togliendo il libero e giocando con la difesa in linea, in una sorta di arco mobile che era piatto solo quando la palla era a centrocampo ed in possesso degli avversari. Inoltre cambiò anche i riferimenti, che secondo i canoni tradizionali avevano come principale riferimento l’avversario. Nel calcio di Sacchi invece al primo posto c’era il pallone, poi il compagno e solo per ultimo l’avversario. Come già detto in precedenza, quel Milan adottava in maniera molto aggressiva la tattica del fuorigioco. Giocando così, i giocatori potevano non consumare troppe energie, recuperare velocemente il possesso del pallone e non stancarsi velocemente. L’allenatore di Fusignano è sempre stato affascinato dalla parola “collettivo” che ancora adesso ripete spesso nelle trasmissioni televisive che lo ospitano. Per lui il giocatore aveva bisogno di esprimersi all’interno di parametri stabiliti dall’allenatore. Nella sua squadra Sacchi voleva uomini con intelligenza per poter capire cosa lui chiedeva e lo spirito per mettere quell’intelligenza al servizio della squadra. In sintesi degli uomini che sapessero come giocare a calcio.